Strategie di valutazione del microclima negli ambienti produttivi e assimilabili (dBA2019)

Bologna, 17 ottobre 2019
Convegno Nazionale dBA2019, Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro

Abstract

Con questo lavoro abbiamo voluto riesaminare i criteri con i quali determinare se la valutazione del microclima negli ambienti produttivi e assimilabili (ovvero magazzini, officine altri reparti a servizio dei produttivi) debba essere condotta mediante un accertamento sul comfort o sullo stress termico.
La nostra conclusione è che negli ambienti produttivi e assimilabili, l’obiettivo protezionistico di una valutazione del microclima sia quello di garantire la tutela da eventuali condizioni termicamente stressanti per i lavoratori e che quindi la valutazione del rischio microclima concerna lo stress termico.
Riteniamo che gli argomenti portati risolvano l’impasse cui conduce una valutazione condotta con obiettivo di accertare e quindi poi garantire il comfort termico in questi ambienti.

È noto infatti che rispetto al microclima il legislatore impone di valutare gli effetti sul comfort o quelli sulla salute dei lavoratori, a seconda dei casi. La valutazione del rischio microclima in ogni ambiente di lavoro deve pertanto essere preceduta da una corretta individuazione degli obiettivi di prevenzione che devono essere raggiunti.

Questa doppia corsia per la valutazione dei rischi occupazionali è ben delineata per alcuni agenti (il rumore ad esempio, ma anche la qualità dell’aria) mentre per quanto riguarda il microclima stenta a trovare una definizione condivisa dai diversi attori che hanno un ruolo nella gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: lavoratori, datori di lavoro e organi di controllo.

Ad esempio, un ambiente produttivo con livelli di esposizione al rumore inferiori a 80 dBA è considerato a basso livello di rischio e nessuno obietterebbe che siano da perseguire gli obiettivi di comfort acustico; il rischio è semplicemente dato per trascurabile e la sua gestione è ridotta al minimo nell’agenda dei lavori dei responsabili della salute e sicurezza aziendali. Ciò non di meno, in un generico ufficio (anche dello stesso sito industriale) non potrebbe essere tollerato un livello di esposizione di 75 dBA, pur rimanendo questo un livello che rende nullo il rischio di ipoacusie, perché il lavoro che si svolge in tali ambienti richiede che siano soddisfatte condizioni di comfort acustico affinché la salute degli impiegati sia adeguatamente tutelata.

Tuttavia, per quel che concerne il microclima, non è raro che la valutazione del rischio sia compiuta perseguendo obiettivi di comfort, oltre che negli uffici, anche in ambienti produttivi, candidando la valutazione ad un esito negativo per il quale sarà difficile, quando non impossibile, trovare delle soluzioni di risanamento. Un approccio siffatto rischia di comportare la paralisi del Servizio di Prevenzione e Protezione che si trova di fronte a una non conformità per la quale sembrerà che non sia possibile attuare alcuna efficacie misura di riduzione. A nostro avviso questa modalità di valutazione, come illustreremo nel seguito, ha un vizio di procedura che consiste nella errata individuazione degli obiettivi protezionistici. Questi devono essere innanzitutto individuati nella tutela da eventuali condizioni di stress termico (fatta salva ogni più restrittiva valutazione a tutela dei soggetti particolarmente sensibili al rischio).

Assisti alla presentazione:

La verifica di comfort termico, a nostro avviso, è da considerarsi pertinente e applicabile negli ambienti detti indoor secondo un’interpretazione estensiva della definizione che ne dà la norma tecnica UNI EN ISO 16000-1:2006, ovvero “ambienti non soggetti alle prescrizioni indirizzate alla tutela dei lavoratori contro gli effetti derivanti dall’esposizione a sostanze e agenti nocivi”. Questi comprendono, in via non esaustiva, uffici, guardiole, reception e più in generale desk di interazione con il pubblico generico.

Leggi l’articolo integrale

STRATEGIE DI VALUTAZIONE DEL MICROCLIMA NEGLI AMBIENTI PRODUTTIVI E ASSIMILABILI

Alessandro Merlino, Gianluca Gambino, Daniele Meda, Gabriele Quadrio

CeSNIR, Villasanta (MB)

Indice

1 – INTRODUZIONE

 È noto che rispetto al microclima il legislatore impone di valutare gli effetti sul comfort o quelli sulla salute dei lavoratori, a seconda dei casi. La valutazione del rischio microclima in ogni ambiente di lavoro deve pertanto essere preceduta da una corretta individuazione degli obiettivi di prevenzione che devono essere raggiunti.

Evidentemente le condizioni che garantiscono di preservare il comfort sono diverse rispetto a quelle indirizzate a limitare gli eventuali rischi per la salute, così come le misure di riduzione risultano più o meno praticabili, più o meno onerose, a seconda dell’obiettivo di prevenzione.

Questa doppia corsia per la valutazione dei rischi occupazionali è ben delineata per alcuni agenti (il rumore ad esempio, ma anche la qualità dell’aria) mentre per quanto riguarda il microclima stenta a trovare una definizione condivisa dai diversi attori che hanno un ruolo nella gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: lavoratori, datori di lavoro e organi di controllo.

Con questo lavoro si intende contribuire alla ricerca di un metodo accettabile da tutte le parti, rispettoso dei principi generali di prevenzione e protezione della salute sul lavoro e realisticamente attuabile nella pratica quotidiana dell’igiene industriale.

2 – FATTORI DI DISCOMFORT E FATTORI DI RISCHIO

Con il progresso delle condizioni di vita si è andata delineando sempre meglio l’idea che la valutazione delle condizioni di salute nei luoghi di lavoro debba concernere anche il comfort del lavoratore.

Gli effetti rispetto ai quali porre una tutela a favore dei lavoratori oggi infatti comprendono:

  • gli effetti avversi alla salute, ovvero patogeni e cioè responsabili del deperimento delle condizioni fisiche dei lavoratori,
  • quegli effetti sulla salute che, per quanto non avversi, incidono su specifiche condizioni di comfort, considerate indispensabili per l’esecuzione di determinati compiti lavorativi.

Un esempio di questa distinzione concerne l’esposizione dei lavoratori al rumore, fenomeno per il quale il legislatore distingue il caso in cui può indurre effetti avversi per la salute (ipoacusie), dal caso in cui può comportare effetti sul comfort. Il primo caso è trattato al Capo II del Titolo VIII (Agenti Fisici, “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro”) e il secondo al Titolo VII (“Attrezzature Munite di Videoterminale”). Nel primo caso il legislatore prescrive il rispetto di precisi limiti, mentre nel secondo, per mezzo dell’Allegato XXXIV, prescrive che il rumore emesso dalle attrezzature presenti nel posto di lavoro non perturbi l’attenzione e la comunicazione verbale.

In generale, nel contesto di una valutazione dell’esposizione ad uno specifico agente o sostanza, distinguere tra effetti avversi sulla salute ed effetti sul comfort impone di ricorrere a criteri diversi e studiati ad-hoc per la conduzione di quella che è genericamente chiamata valutazione dei rischi.

3 – DETERMINAZIONE DEGLI OBIETTIVI PROTEZIONISTICI

La definizione degli obiettivi di prevenzione e protezione, declinati come tutela dagli effetti avversi per la salute oppure come tutela dai discomfort, si profila come un atto prioritario nel processo della valutazione complessiva sulla salute dei lavoratori e l’esito di questa operazione preliminare è determinante nel definire come si svolgerà il resto del processo. Con la definizione di tali obiettivi sono infatti stabiliti i criteri con cui svolgere l’accertamento sulle condizioni di salute, nonché i valori di riferimento (valori obiettivo o limiti veri e propri) con cui confrontare le grandezze eventualmente oggetto di accertamento.

La determinazione dell’obiettivo da raggiungere non può infatti seguire principi opportunistici, ma dev’essere aprioristica e valutata preliminarmente sulla base dell’analisi del contesto lavorativo. Se la valutazione complessiva dei possibili effetti sul comfort/sulla salute dei lavoratori ha esito negativo, diventa necessario definire opportune azioni di riduzione e/o risanamento delle esposizioni ed aver individuato il più corretto criterio di valutazione (comfort o stress) costituisce un fattore determinante nell’accettazione di queste misure da parte dei lavoratori e del datore di lavoro.

Definito lo scenario in cui la valutazione si svolgerà, nessuna rimodulazione degli obiettivi di questa dovrebbe essere concessa o pretesa, evitando di introdurre un principio opportunistico nella valutazione stessa.

Questo significa che se la valutazione concerne il comfort, non si potrà accogliere l’idea che, se sono emersi dei fattori di discomfort, questi si debbano tollerare in virtù dell’eventuale assenza di fattori di rischio. La presenza di fattori di discomfortnon potrà che comportare un programma di riduzione di questi e non ci potrà essere spazio per una sostituzione di detta valutazione con una sui fattori di rischio per la salute, riferita quindi ai possibili effetti avversi, dal momento che quest’ultima non risulta applicabile al caso in esame (oltre che tautologicamente verificata).

Viceversa, se la valutazione concerne gli effetti avversi per la salute, l’eventuale assenza di fattori di rischio, attestante la corretta tutela da detti effetti, non costituirà un via libera ad una valutazione sui fattori di comfort, dal momento che ora è quest’ultima a risultare inapplicabile. Si aggiunge che avviare forzosamente una valutazione sui possibili discomfort in un tale contesto avrebbe la probabile conseguenza di invertire l’esito della valutazione (da positivo a negativo), conducendo ad un’errata valutazione del rischio per sovrastima di questo ed alla delineazione di pesanti e costose iniziative di risanamento (quando addirittura inattuabili) che in realtà sono inutili.

Per tornare all’esempio del rumore, è più che condivisa l’opinione che un ambiente produttivo con livelli di esposizione inferiori a 80 dBA sia da considerare a basso livello di rischio e nessuno obietterebbe che siano da perseguire gli obiettivi di comfort acustico (che, come minimo, imporrebbero bassi tempi di riverberazione e livelli di rumore sotto i 60 dBA); il rischio è semplicemente dato per trascurabile e la sua gestione è ridotta al minimo nell’agenda dei lavori dei responsabili della salute e sicurezza aziendali. Ciò non di meno, negli uffici dello stesso sito industriale non potrebbe essere tollerato un livello di esposizione di 75 dBA, pur rimanendo questo un livello che rende nullo il rischio di ipoacusie, perché il lavoro che si svolge in tali ambienti richiede che siano soddisfatte condizioni di comfort acustico affinché la salute degli impiegati sia adeguatamente tutelata.

Tuttavia, come meglio sarà illustrato più avanti, per quel che concerne il microclima, non è raro che la valutazione del rischio sia compiuta perseguendo obiettivi di comfort, oltre che negli uffici, anche in ambienti produttivi, candidando la valutazione ad un esito negativo per il quale sarà difficile, quando non impossibile, trovare delle soluzioni di risanamento. Un approccio siffatto rischia di comportare la paralisi del Servizio di Prevenzione e Protezione che si trova di fronte a una non conformità per la quale sembrerà che non sia possibile attuare alcuna efficace misura di riduzione. A nostro avviso questa modalità di valutazione, come illustreremo nel seguito, ha un vizio di procedura che consiste nella errata individuazione degli obiettivi protezionistici. Questi devono essere innanzitutto individuati nella tutela da eventuali condizioni di stress termico (fatta salva ogni più restrittiva valutazione a tutela dei soggetti particolarmente sensibili al rischio).

4 – IL MICROCLIMA NEL TESTO UNICO

Il legislatore fornisce criteri di valutazione del microclima in ben tre titoli del D.Lgs 81/08: al Titolo II (“Luoghi di lavoro”), al Titolo VII (“Attrezzature munite di videoterminale”) e al Titolo VIII (“Agenti fisici”).

Il Titolo II si applica a tutti i luoghi di lavoro indistintamente e fornisce dei requisiti primari da soddisfare, riassumibili con l’indicazione di far sì che la temperatura dei locali di lavoro sia adeguata all’organismo umano, tenuto conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori e senza trascurare il grado di umidità e il movimento dell’aria. Si deve prestare attenzione che il legislatore, pur nel contesto di queste prescrizioni a carattere generale, impone anche la più puntuale misura che gli impianti di ventilazione o condizionamento non diano luogo a correnti d’aria fastidiose per i lavoratori.

Il Titolo VII si rivolge invece ai “posti di lavoro al videoterminale” (uffici per lo più, ma anche sportelli, reception, casse, …). In questo caso il legislatore impone al datore di lavoro di analizzare le condizioni ergonomiche e di igiene ambientale delle postazioni di lavoro (art. 174) e di rispettare dei requisiti minimi in dette postazioni, che illustra all’allegato XXXIV. Per il microclima, al punto 2), lettera e) prescrive che le condizioni microclimatiche non siano causa di discomfort per i lavoratori.

Il Titolo VIII prende in considerazione tutti i rischi derivanti da esposizione agli agenti fisici, tra cui il microclima (individuato, insieme agli altri, dall’art. 180 “Definizioni e campo di applicazione”). In questo caso le richieste del legislatore si fanno più rigide. Al posto di riferirsi a temperature adeguate, correnti d’aria fastidiose, condizioni ergonomiche, fa riferimento al rispetto di limiti di esposizione, a precisi obblighi di riduzione delle esposizioni, di formazione del personale e di sorveglianza sanitaria. Di fatto, con il titolo VIII intende agire nei confronti dei rischi da stress termico e dei loro possibili effetti avversi sulla salute dei lavoratori.

5 – VERIFICHE DI COMFORT O DI STRESS TERMICO?

La valutazione del microclima è compiuta il più delle volte seguendo una prassi suggerita da INAIL (INAIL, 2018), secondo la quale è soggetto a valutazione di comfort termico ogni ambiente non vincolato, chiamato anche moderabile, mentre sono soggetti alle verifiche di stress termico solo gli ambienti vincolati1. Un’analoga suddivisione si trovava già nel documento a cura del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro del 2006.

Anche gli scriventi, come illustrato più sopra, condividono l’idea che la valutazione sul microclima si declini in valutazione sul comfort termico e valutazione sullo stress termico a seconda del contesto lavorativo, ma riteniamo che la determinazione sul tipo di valutazione da condurre non possa compiersi sulla base della semplice suddivisione degli ambienti di lavoro tra vincolati e non vincolati. La nostra esperienza ci insegna che ci sono diversi comparti nei quali si riscontrano ambienti di lavoro classificabili come non vincolati che non risultano tuttavia moderabili. È il caso degli ambienti produttivi (produzione industriale ma non solo), ma anche quello degli ambienti dedicati allo stoccaggio dei beni (magazzini e logistica), piuttosto che altri reparti a servizio di quelli produttivi (le officine per esempio). Indicheremo tutti questi ambienti come produttivi e assimilabili.

Ritenere questi ambienti moderabili significa assumere che sia possibile climatizzarli, sia durante la stagione calda, sia durante quella fredda, senza considerare che, soprattutto per quel che concerne l’estate, qualunque iniziativa di climatizzazione potrebbe risultare irragionevole. La presenza di macchine, le spesso ampie volumetrie, i bassi requisiti di isolamento termico degli involucri degli edifici industriali e, nel caso dei magazzini, il ridotto numero di addetti normalmente impiegato, rendono infatti sconveniente, se non del tutto inattuabili, opere di climatizzazione estiva che consentano il raggiungimento del comfort per i lavoratori che svolgono la loro opera in detti ambienti.

In seconda istanza si deve considerare che nei contesti citati sopra è usuale che i compiti lavorativi degli addetti comportino un moderato o elevato sforzo fisico, frequenti e talvolta veloci spostamenti nell’ambiente di lavoro e un abbigliamento che, anche nella stagione calda, risulta coprente su tutto il corpo, talvolta composto di più strati, eventualmente comprensivo di guanti, elmetto e altri DPI.

Si valutino ora le implicazioni fisiologiche del garantire il comfort termico in un qualsiasi ambiente di vita o di lavoro: tale garanzia corrisponde a quella di assicurare che il sistema di termoregolazione umana dei soggetti esposti gestisca l’eccesso di calore con la sola vasodilatazione e non attivi mai la sudorazione. Tuttavia la sudorazione, se non è eccessiva, non comporta effetti avversi per la salute ed è anche il meccanismo più efficace di dissipazione del calore interno, per quanto pregiudichi senza dubbio il comfort.

Considerata in definitiva la difficoltà a garantire che il personale impiegato nei reparti produttivi e assimilabili, possa svolgere i propri compiti senza un surriscaldamento che attivi la sudorazione, riteniamo che in questi ambienti non sia pertinente una valutazione del livello di comfort termico (se non per casi specifici come i soggetti con particolare suscettibilità al rischio).

Nel caso in cui l’ambiente termico per uno o più lavoratori dovesse diventare particolarmente impegnativo, sarebbe semmai opportuno accertare che non si configuri una condizione termicamente stressante per l’organismo.

In questo caso la valutazione dovrebbe compiersi rispetto a possibili fattori di rischio per la salute, i pertinenti limiti diventerebbero mandatori e nessuna eccezione dovrebbe essere tollerata. L’eventuale superamento dei limiti pertinenti per lo specifico indice di stress termico imporrebbe infatti la più rapida ricerca di iniziative di riduzione. Risulterebbero inoltre da attuare le opportune valutazioni per individuare le più corrette tutele per gli eventuali soggetti particolarmente sensibili al rischio.

In conclusione, negli ambienti di lavoro produttivi e in quelli a questi assimilabili la valutazione del microclima deve essere condotta, a nostro avviso, ricorrendo agli indici di stress termico, oppure senza alcun accertamento tecnico se, sulla base di una valutazione preliminare, si può ragionevolmente ritenere che il microclima non conduca a situazioni termicamente stressanti per i lavoratori, inclusi i soggetti particolarmente sensibili (configurandosi così come un’esposizione giustificabile, ex art. 181, comma 3 del D.Lgs 81/08).

L’accertamento dei livelli di comfort risulta invece pertinente per la valutazione del microclima degli ambienti di lavoro indoor, secondo l’accezione fornita dalle norme tecniche della serie ISO 16 000 concernenti le verifiche sulla qualità dell’aria degli ambienti di lavoro. In questo contesto sono definiti indoor gli “ambienti non soggetti alle prescrizioni indirizzate alla tutela dei lavoratori contro gli effetti derivanti dall’esposizione a sostanze nocive” evidentemente estensibile ad una formulazione come la seguente “ambienti non soggetti alle prescrizioni indirizzate alla tutela dei lavoratori contro gli effetti derivanti dall’esposizione a sostanze e agenti nocivi”. A questo proposito si fa notare che lo stesso legislatore ricorre al termine discomfort solo nel Titolo VII (“Attrezzature munite di videoterminale”).

Concludiamo questo paragrafo ricordando quali sono i metodi e gli indici a disposizione per la valutazione del microclima negli ambienti sottoposti a verifica di comfort e in quelli sottoposti a verifica di stress termico:

  • comfort termico
    – indici PMV e PPD, norma tecnica UNI EN ISO 7730:2006 Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale
  • stress termico da caldo
    – indice WBGT, norma tecnica UNI EN ISO 7243:2017 Ergonomia degli ambienti termici – Valutazione dello stress da calore utilizzando l’indice WBGT (temperatura globo del bulbo bagnato)
    – metodo PHS, norma tecnica UNI EN ISO 7933:2005 Ergonomia dell’ambiente termico – Determinazione analitica ed interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica prevedibile
    – valutazioni fisiologiche, norma tecnica UNI EN ISO 9886:2004 Ergonomia – Valutazione degli effetti termici (thermal strain) mediante misurazioni fisiologiche
  • stress termico da freddo
    – indice IREQ, norma tecnica UNI EN ISO 11079:2008 Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione ed interpretazione dello stress termico da freddo con l’utilizzo dell’isolamento termico dell’abbigliamento richiesto (IREQ) e degli effetti del raffreddamento locale

6 – VALUTAZIONI MULTI-INDICE 

Anche aderendo alla proposta fatta sopra, ovvero di condurre l’eventuale accertamento sul microclima negli ambienti produttivi e assimilabili solo mediante indici di stress termico, esistono dei casi dove, pur volendo valutare le condizioni di stress, possono risultare utili gli indici di comfort. Si tratta degli ambienti produttivi a basso tenore di stress termico, quando sia incerta la giustificabilità degli stessi ex art. 181, c. 3, del D.Lgs 81/08. In questi casi può essere utile ricorrere a verifiche di comfort termico a patto di considerare accettabili anche valori che oltrepassano i valori obiettivo normalmente assunti per verificare il soddisfacimento delle condizioni di comfort. L’indice di riferimento in questi casi è quello denominato PMV (cfr. norma tecnica UNI EN ISO 7730:2006) e si ritengono verificate le condizioni di comfort se assume valori compresi nell’intervallo -0.5 ÷ +0.5 (al più -0.7 ÷ +0.7, per gli ambienti con i requisiti più bassi). Se si sceglie di adottare questo indice per verificare l’adeguatezza di un ambiente produttivo nel quale, per i motivi detti sopra, un certo discomfort risulta ineliminabile, occorre individuare dei valori obiettivo meno restrittivi e che ammettano anche un determinato discomfort tra gli esiti accettabili.

Si precisa inoltre che una valutazione mediante l’indice di comfort PMV è altresì utile anche nel contesto di un accertamento di stress termico allo scopo di verificare se vi possano essere delle condizioni di lavoro termicamente troppo severe per lavoratori con particolari suscettibilità al rischio.

Riteniamo che offra questo spunto la norma tecnica UNI EN ISO 15265 del 2005 (illustrata sotto) che propone una valutazione multi-indice, coniugando opportunamente gli esiti delle valutazioni eseguite a mezzo degli indici di comfort e quelli delle valutazioni eseguite a mezzo di quelli di stress.

7 – LA NORMA TECNICA UNI EN ISO 15265:2005

La norma UNI EN ISO 15265:2005 Strategia di valutazione del rischio per la prevenzione dello stress o del disagio termico in condizioni di lavoro è raramente assunta tra i riferimenti normativi nell’ambito delle valutazioni del rischio microclima. Ci preme portarla all’attenzione di chi si occupa di questo fattore di rischio nei luoghi di lavoro perché a nostro avviso offre una soluzione al problema metodologico delineato sopra.

La norma propone un approccio in tre fasi:

  1. Osservazione (observation): fase condotta internamente all’azienda mediante audit e senza avviare misurazioni dei parametri fisici in gioco
  2. Analisi (analisys): fase condotta mediante il supporto di personale con specifiche competenze in materia e con la conduzione delle misurazioni necessarie per la quantificazione degli indici di comfort termico e stress termico
  3. Perizia (expertise): fase condotta mediante il supporto di personale con specifiche ed elevate competenze in materia, indirizzata alla valutazione di circostanze lavorative molto complesse dal punto di vista del microclima e con la conduzione di speciali e/o sofisticate campagne di misurazione.

All’interno di questo quadro, gli accertamenti tecnici che il più delle volte le aziende commissionano a studi/ditte specializzate, si configurano come analisi, considerato che si svolgono normalmente mediante la conduzione di misure microclimatiche indirizzate a determinare i valori dei diversi indici di comfort e stress termico, senza la necessità di attivare procedure più sofisticate visto che, nella maggior parte dei casi, sono assenti circostanze lavorative di grande complessità in relazione al microclima2.

Rimanendo pertanto sulla fase denominata analisi, la norma indica che questa si deve condurre con una valutazione multi-indice delle condizioni microclimatiche per giungere a una classificazione del rischio che individua nove possibili categorie (cfr. tabella 7 nella norma, riportata qui sotto). Queste spaziano da quella in cui a causa del freddo si hanno tempi limite di permanenza inferiori ai 30 minuti, a quella in cui lo stesso tempo limite è dettato dal caldo.

Tabella 1: Classi di rischio secondo la UNI EN ISO 15265

I passaggi successivi alla classificazione del rischio prevedono di:

  • determinare l’accettabilità delle condizioni di lavoro paragonando la durata media e massima di ogni attività con i tempi limite di esposizione (DLE);
  • determinare le tecniche di prevenzione/controllo per ogni parametro fisico, così come la miglior organizzazione del lavoro;
  • determinare il rischio residuo a posteriori delle iniziative di cui sopra e rivalutare l’accettabilità sempre comparando i nuovi tempi limite previsti (DLE) con l’effettiva durata di ogni attività;
  • valutare se l’accertamento richieda il passaggio alla fase 3: “expertise”;
  • definire le misure di protezione nel breve periodo;
  • definire i requisiti della sorveglianza sanitaria nel breve e nel lungo periodo.

Tornando quindi all’uso degli indici di comfort a supporto di quelli di stress per lo studio del microclima negli ambienti produttivi e assimilabili, sulla scorta del metodo definito dalla 15265, sopra brevemente accennato, riteniamo che in questi ambienti, si possano considerare accettabili esiti di PMV al di fuori degli intervalli di comfort, fino a coprire il range -2 ÷ +2, previa attenta verifica delle condizioni di ipersensibilità individuale o di disabilità termica delle lavoratrici e dei lavoratori, come riportato nella norma ISO 28803:2012.

Naturalmente un risultato accettabile rimane suscettibile di miglioramenti e la norma stessa afferma che l’oggetto di una valutazione dei rischi legati all’ambite termico non sia rappresentato dalla mera quantificazione dei rischi ma dall’individuazione delle iniziative di prevenzione e protezione che consentono di eliminarli o almeno ridurli, approccio condiviso anche dagli scriventi.

8 – SOGGETTI PARTICOLARMENTE SENSIBILI AL RISCHIO

Nel contesto della valutazione dell’esposizione ad un agente di rischio il datore di lavoro deve valutare in modo specifico il caso dei soggetti con particolari sensibilità ad ogni specifico rischio. Di quest’obbligo ci sono numerosi richiami nel D.Lgs 81/08, tra i quali citiamo quello relativo agli agenti fisici, pertinente al caso dello stress termico e rappresentato dall’art. 183 “Lavoratori particolarmente sensibili”: Il datore di lavoro adatta le misure di cui all’articolo 182 [Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi] alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori.

Quale supporto tecnico per la conduzione dell’accertamento indirizzato verso tali soggetti troviamo la norma UNI EN ISO 28803:2012 “Ergonomia degli ambienti fisici – Applicazione di norme internazionali alle persone con speciali necessità”.

La norma puntualizza che le persone con requisiti speciali generalmente non rientrano nell’ambito di applicazione della maggior parte degli standard internazionali. Questi infatti sono spesso applicabili solo per le persone con caratteristiche specifiche che vengono spesso definite “normali” o “tipiche”.

La stessa 7933 (metodologia PHS, stress termico da caldo) precisa che rimane compito della medicina occupazionale valutare il rischio individuale, prendendo in considerazione le caratteristiche specifiche del soggetto. Queste comprendono evidentemente corporatura, peso, età, genere ed eventuali fattori che possono rendere il soggetto particolarmente sensibile al rischio. Quale ulteriore chiarimento è specificato quanto segue: “la norma non prevede la risposta fisiologica di singoli soggetti, ma prende in considerazione solo soggetti di riferimento in buona salute e adatti al lavoro che svolgono. È quindi destinata ad essere utilizzata da ergonomi, igienisti industriali, ecc. per valutare le condizioni di lavoro”.

La progettazione degli ambienti per una popolazione più ampia rispetto ai soli “soggetti di riferimento” può richiedere condizioni diverse da quelle indicate in uno standard, al fine di fornire comfort o evitare stress inaccettabili sul corpo di ogni possibile soggetto occupante l’ambiente in questione, compresi i soggetti con requisiti speciali. Questi includono sicuramente bambini, persone con disabilità e persone anziane, ma per taluni fattori ambientali o fattori di rischio, possono comprendere anche soggetti con specifiche patologie, corporatura o altri fattori individuali.

Tornando alla 28803, il titolo pertinente al nostro scopo è il 5: “Considerazioni relative alla progettazione e valutazione dell’ambiente termico” (i successivi concernono gli ambienti acustici, luminosi, la qualità dell’aria e le vibrazioni).

Sono innanzitutto elencati i fattori che richiedono una specifica considerazione nell’esecuzione di una valutazione del microclima e sono individuati nei seguenti:

  1. compromissione sensoriale e paralisi: questi fattori hanno effetto sulle sensazioni termiche e possono essere connessi con l’uso di medicinali, con l’età, con la gravidanza per le donne e con le disabilità fisiche.
  2. Differenze nelle forme del corpo: la perdita o l’atrofia di un arto, ad esempio, così come la ridotta corporatura (nanosomia) incidono sull’efficacia degli scambi termici per irraggiamento, convezione ed evaporazione.
  3. Compromissione della secrezione di sudore: questo fattore concerne le persone con delle paralisi corporee per le quali la frazione di pelle che può secernere sudore risulta ridotta (anche dell’80% nelle persone quadriplegiche).
  4. Compromissione del controllo vasomotorio: il deterioramento del controllo vasomotorio periferico, spesso presente in gruppi come gli anziani, i soggetti con lesioni del midollo spinale o le persone che assumono farmaci vasodilatatori, influisce sull’adattabilità agli ambienti sia freddi che caldi.
  5. Differenze nel tasso metabolico: persone con disabilità fisiche che utilizzano ausili tecnici come sedie a rotelle possono avere bassi tassi metabolici e, al contrario, i soggetti che soffrono di paralisi cerebrale atassica hanno un tasso metabolico più elevato a causa del maggiore sforzo richiesto per eseguire le proprie attività. Anche le persone anziane hanno un tasso metabolico più basso di quello medio degli adulti per quanto ci siano ampie differenze individuali.
  6. Influenze dello stress termico su altre funzioni fisiologiche. In quest’ultimo punto si richiamano in modo non esaustivo effetti dello stress termico su diversi aspetti della salute e della fisiologia umana (ad esempio si cita che l’apoplessia cerebrale e gli attacchi cardiovascolari possono essere più probabili in condizioni di intenso freddo o caldo).

Ai successivi titoli la norma si sofferma sugli aspetti che devono essere considerati con particolare attenzione nelle valutazioni di comfort termico o di stress termico condotte secondo i rispettivi standard internazionali e da noi citati più sopra; è puntualizzato come il mero rispetto dei limiti previsti dagli standard non sia sempre sufficiente a garantire l’adeguata tutela da eventuali discomfort/rischi termici.

In conclusione la 28803 tratta quelle che sono definite le “disabilità termiche”, ovvero disabilità nel governo della termoregolazione derivanti da fattori individuali. La norma le presenta all’interno di una tabella correlandole con gli effetti sul fisico, l’ambiente termico in cui si possono manifestare, la patologia o la disabilità fisica da cui hanno origine. In tabella 2 proponiamo una versione in italiano della stessa tabella tratta da portaleagentifisici.it (www.portaleagentifisici.it/fo_microclima_index.php?lg =IT).

Tabella 2: Tabella delle disabilità termiche (portaleagentifisici.it)

9 – CONCLUSIONI

Con questo lavoro abbiamo voluto riesaminare i criteri con i quali determinare se la valutazione del microclima in specifici ambienti debba essere condotta mediante un accertamento sul comfort o sullo stress termico.

La nostra conclusione è che, oltre che nei confronti degli ambienti vincolati, anche verso quelli produttivi e assimilabili3, l’obiettivo protezionistico di una valutazione del microclima sia quello di garantire innanzitutto la tutela da eventuali condizioni termicamente stressanti per l’organismo per qualsiasi soggetto.

Riteniamo che gli argomenti portati risolvano l’impasse cui conduce una valutazione condotta con l’improbabile obiettivo di accertare (e quindi poi garantire) il comfort termico in questi ambienti.

Con questi scopi l’accertamento tecnico (avviato in assenza di una condizione di giustificabilità del rischio ex D.Lgs 81/08, art. 181, c. 3) sarà indirizzato alla valutazione dello stress termico e i metodi utilizzati comprenderanno il PHS4 per gli ambienti caldi e l’IREQ per gli ambienti freddi. A questi si aggiunge il PMV che, pur concernendo il comfort, risulta pertinente anche nel contesto di una valutazione sullo stress termico allo scopo di valutare il rischio per soggetti con particolari sensibilità e per soggetti con disabilità termiche, ma anche per meglio definire i casi in cui sia necessario mettere in atto specifiche misure di tutela mediante interventi organizzativi/procedurali e tecnici.

Al fine di utilizzare correttamente l’indice PMV anche in una valutazione di stress termico, occorre tuttavia stabilire quale tenore di discomfort può essere considerato accettabile, ovvero quale sia l’intervallo dei valori ammissibili per l’indice PMV in relazione all’attività svolta ed alle caratteristiche individuali e questa informazione si ricava dalla norma UNI EN 15265, dove si individua in -2 ÷ +2 l’ampiezza di questo range, ovvero facendo riferimento alle condizioni maggiormente restrittive fissate dalla ISO 28803:2012, qualora in presenza di situazioni di particolari sensibilità al rischio.

La verifica di comfort termico, a nostro avviso, è da considerarsi pertinente e applicabile negli ambienti detti indoor secondo un’interpretazione estensiva della definizione che ne dà la norma tecnica UNI EN ISO 16000-1:2006, ovvero “ambienti non soggetti alle prescrizioni indirizzate alla tutela dei lavoratori contro gli effetti derivanti dall’esposizione a sostanze e agenti nocivi”. Questi comprendono, in via non esaustiva, uffici, guardiole, reception e più in generale desk di interazione con il pubblico generico.

In questo quadro condividiamo la strategia di approccio al rischio microclima offerta dalla norma tecnica UNI EN 15265:2005 la quale coniuga gli indici di comfort e quelli di stress per giungere ad una classificazione del rischio in classi, nonché della norma ISO 28803:2012, ai fini della tutela dei soggetti sensibili.

10 – BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

[1] UNI EN ISO 9886:2004 Ergonomia – Valutazione degli effetti termici (thermal strain) mediante misurazioni fisiologiche

[2] UNI EN ISO 7933:2005 Ergonomia dell’ambiente termico – Determinazione analitica ed interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica prevedibile

[3] UNI EN ISO 15265:2005 Strategia di valutazione del rischio per la prevenzione dello stress o del disagio termico in condizioni di lavoro

[4] UNI EN ISO 7730:2006 Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale

[5] UNI EN ISO 16000-1:2006 Aria in ambienti confinati. Parte 1: aspetti generali della strategia di campionamento

[6] UNI EN ISO 28803:2012 Ergonomia degli ambienti fisici – Applicazione di norme internazionali alle persone con speciali necessità

[7] UNI EN ISO 7243:2017 Ergonomia degli ambienti termici – Valutazione dello stress da calore utilizzando l’indice WBGT (temperatura globo del bulbo bagnato)

[8] INAIL (2018-07) La valutazione del microclima

[9] Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome in collaborazione con ISPESL (2006-06) Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro

[10] Soggetti particolarmente sensibili all’ambiente termico, Laboratorio di Sanità Pubblica dell’Azienda Sanitaria USL Toscana Sud Est con la collaborazione dell’INAIL e dell’Azienda USL di Modena, pagina consultata nell’agosto 2019, https://www.portaleagentifisici.it/fo_microclima_index. php?lg=IT

1 INAIL definisce vincolati “gli ambienti nei quali esistono vincoli, in primo luogo sulla temperatura e sulle altre quantità ambientali, ma anche sull’attività metabolica e sul vestiario, in grado di pregiudicare il raggiungimento di condizioni di comfort”. Sono invece definiti moderabili “gli ambienti nei quali non esistono vincoli in grado di pregiudicare il raggiungimento di condizioni di comfort”.
2 Esempi di casi di particolare complessità sono quelli dove i lavoratori devono utilizzare uno speciale abbigliamento protettivo che non consente di condurre l’accertamento mediante le procedure standardizzate basate sulla determinazione dell’ambiente termico, ma occorre ricorrere alla misurazione di parametri fisiologici per accertare l’entità del rischio.
3 Ricordiamo che con ambienti assimilabili a quelli produttivi intendiamo quelli dedicati allo stoccaggio dei beni, materie prime e prodotti finiti (magazzini e logistica), piuttosto che altri reparti a servizio di quelli produttivi (le officine per esempio).
4 Il WBGT non è contemplato all’interno della fase di analisi avendo valore solo di screening.

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A. Merlino, G. Gambino, D. Meda, G. Quadrio (2019) Strategie di valutazione del microclima negli ambienti produttivi e assimilabili, atti del convegno nazionale dBA 2019 (Bologna, 17 ottobre 2019)

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