Rischio da stress termico e l’utilizzo consapevole degli indici di esposizione (dBA 2024)
Bologna, 20 novembre 2024
Convegno Nazionale dBA2024, Agenti fisici e salute nei luoghi di lavoro
Abstract
L’articolo affronta il tema dello stress termico nei luoghi di lavoro, evidenziando la necessità di una corretta valutazione e gestione del rischio per proteggere la salute dei lavoratori.
È presentata la metodologia adottata da CeSNIR per condurre le proprie consulenze in materia di rischi da stress termico. La procedura si basa sulla norma UNI EN ISO 15265:2005 e quindi su una strategia che utilizza sia gli indici di comfort termico (PMV) che quelli di stress termico (IREQ, WBGT e PHS). Viene sottolineata l’importanza di definire criteri chiari per identificare la presenza di rischio e implementare le misure preventive necessarie.
Il lavoro va a chiarire che il mero rispetto dei limiti di cui alle metodiche IREQ, WBGT e PHS non garantisce l’assenza del rischio; i limiti proposti da queste metodiche devono infatti essere considerati alla stregua di Valori Limite di Esposizione e per definire se il rischio sia o non sia presente è invece utile riferirsi a delle soglie di azione (analogamente a quanto di fa per rumore e vibrazioni, ed esempio). A fini della definizione di queste soglie si ritiene utile ricorrere all’indice PMV.
Anche nel contesto produttivo, dove il comfort termico potrebbe essere irraggiungibile, si rivela pertanto utile ricorrere all’indice di comfort PMV per distinguere le condizioni di discomfort da quelle di rischio, con l’intervallo di sicurezza definito tra -2 e +2. In presenza di stress termico, si ricorre a strumenti come WBGT/PHS per il caldo e IREQ per il freddo, integrando valutazioni delle durate limite di esposizione (DLE).
Il lavoro sottolinea l’importanza di considerare le specificità individuali dei lavoratori, adottando misure adeguate per i soggetti particolarmente sensibili.
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RISCHIO DA STRESS TERMICO E L’UTILIZZO CONSAPEVOLE DEGLI INDICI DI ESPOSIZIONE.
Alessandro Merlino, Daniele Meda, Andrea Pelizzoni, Gabriele Quadrio, Diego Rizzardini
CeSNIR srl, Villasanta (MB)
1 – INTRODUZIONE
Lo stress termico rappresenta un rischio significativo in numerosi ambienti di lavoro, con potenziali conseguenze sulla salute e la sicurezza dei lavoratori. Questo studio presenta il metodo sviluppato da CeSNIR per valutare tale rischio, focalizzandosi in particolare sullo stress da caldo.
L’approccio proposto si basa su una strategia derivata dalla UNI EN ISO 15265:2005, norma tecnica intitolata “Strategia di valutazione del rischio per la prevenzione dello stress o del disagio termico in condizioni di lavoro”.
Nei convegni dBA 2018 e 2019, gli autori hanno anticipato l’intenzione di adottare questa strategia, e nel corso degli ultimi cinque anni hanno esplorato e collaudato diverse soluzioni, giungendo alla formulazione ritenuta più adeguata in termini di praticabilità, completezza e aderenza alle indicazioni normative.
Il fulcro della valutazione ruota intorno alla corretta scelta degli indici di esposizione e al loro miglior utilizzo. Se nel contesto non industriale gli indici di riferimento sono chiaramente quelli di comfort termico, nei contesti industriali l’adozione dei soli indici di stress termico potrebbe restituire una valutazione parziale. D’altra parte, alcuni ritengono che, salvo casi specifici, una valutazione del rischio microclima debba basarsi solo sugli indici di comfort termico.
Un’ulteriore questione aperta riguarda come accertare la mera presenza del rischio. Il D.Lgs 81/08, infatti, prescrive formazione e sorveglianza sanitaria per i lavoratori soggetti a qualsiasi rischio derivante da esposizione ad agenti fisici, ma non fornisce Valori Limite di Esposizione (VLE) o Valori di Azione (VA) per lo stress termico, come fatto invece per altri agenti fisici. Alla mancanza dei primi sopperisce la normazione tecnica (si vedano in proposito le norme sui metodi WBGT, PHS e IREQ) mentre sulla definizione di possibili valori di azione non si trovano indicazioni. Tuttavia, sono proprio questi ultimi che sono utili a individuare gli scenari in cui considerare il rischio presente (ancor prima di quantificarne l’entità) e dove prevedere pertanto di attivare almeno le iniziative base di prevenzione e protezione.
Il presente contributo interviene pertanto primariamente su questi aspetti:
- l’utilizzo ottimale degli indici di comfort e di stress termico nelle valutazioni del rischio da stress termico;
- la definizione di criteri per stabilire la presenza del rischio da stress termico;
- l’approccio alle valutazioni del rischio da stress termico da caldo quando le metodiche standardizzate (WBGT e PHS) non sono inapplicabili.
2 – PANORAMICA DEL QUADRO LEGISLATIVO DI RIFERIMENTO
Il legislatore tratta il microclima in tre titoli del D.Lgs 81/08: al Titolo II (Luoghi di lavoro), al Titolo VII (Attrezzature munite di videoterminale) e al Titolo VIII (Agenti fisici).
Il Titolo II si applica a tutti i luoghi di lavoro indistintamente e stabilisce i requisiti primari da soddisfare per contenere i disagi dei lavoratori. In questo titolo le prescrizioni sul microclima sono indirizzate a garantire che gli ambienti di lavoro rispettino specifici requisiti di ergonomia (come stabilito per l’illuminazione o il rumore). Non è prevista una valutazione di esposizione dei lavoratori ma una verifica sull’adeguatezza dell’ambiente di lavoro.
Il Titolo VII si rivolge invece ai posti di lavoro al videoterminale (uffici per lo più, ma anche sportelli, reception, …) per i quali sono definiti specifici requisiti da rispettare in aggiunta a quelli definiti al Titolo II.
Il Titolo VIII prende in considerazione tutti i rischi derivanti da esposizione agli agenti fisici tra cui il microclima. Con questo titolo il legislatore intende definire le condizioni da rispettare per tutelare i lavoratori dagli effetti avversi riconducibili al microclima e, a tal fine, richiede una valutazione di esposizione allo stress termico.
Proponiamo di seguito una breve panoramica di quanto troviamo nei tre titoli appena citati.
2.1 – TITOLO II: REQUISITI MICROCLIMATICI DEI LUOGHI DI LAVORO CHIUSI
L’articolo 63 del D.Lgs 81/08 prescrive che i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’ALLEGATO IV.
In questo allegato, il legislatore non fornisce limiti in senso stretto, ma vincola il datore di lavoro a far sì che la temperatura dei locali al chiuso sia adeguata all’organismo umano, tenuto conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori (punti 1.9.2.1) senza trascurare il grado di umidità e il movimento dell’aria (punto 1.9.2.2). Con specifico riferimento agli impianti di condizionamento o ventilazione stabilisce che questi non espongano i lavoratori a correnti d’aria fastidiose (punto 1.9.1.3). È poi puntuale anche nel prescrivere che le pareti trasparenti non comportino eccessivo soleggiamento dei luoghi di lavoro (punto 1.9.2.4).
Questo livello di controllo sul microclima è difficilmente raggiungibile negli ambienti industriali a causa della presenza di macchine, dei processi produttivi che vi si svolgono e delle spesso amplissime volumetrie, così come, sempre a causa delle ampie volumetrie e del basso numero di addetti, è difficile ottenerlo negli spazi dedicati allo stoccaggio delle merci. Sembra pertanto ragionevolmente indirizzato a questi ambienti quel che il legislatore prevede al punto 1.9.2.5 dell’allegato IV ovvero: qualora non sia conveniente raffrescare o riscaldare l’ambiente intero, si può e si deve ricorrere a sistemi localizzati di regolazione della temperatura e/o a mezzi personali di protezione.
2.2 – TITOLO VII: REQUISITI MICROCLIMATICI DEI POSTI DI LAVORO AL VIDEOTERMINALE
Per i posti di lavoro al videoterminale, l’articolo 174 del D.Lgs 81/08, attraverso il richiamo all’Allegato XXXIV, aggiunge il requisito che le condizioni microclimatiche non devono essere causa di discomfort per i lavoratori. Inoltre, le attrezzature in dotazione al posto di lavoro non devono produrre un eccesso di calore che possa essere fonte di discomfort.
2.3 – TITOLO VIII: RISCHI DA STRESS TERMICO
L’articolo 181 del D.Lgs 81/08 sancisce che il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi derivanti da esposizione agli agenti fisici, tra cui il microclima. Tuttavia, il decreto non definisce soglie di esposizione da rispettare per lo stress termico, a differenza di quanto fatto per altri agenti fisici.
Il Capo I del Titolo VIII enuncia i criteri generali della prevenzione e protezione dai rischi derivanti da esposizione a agenti fisici, che possono essere riassunti nei seguenti punti:
- la valutazione dev’essere effettuata con periodicità non inferiore a quattro anni e dev’essere mantenuta aggiornata (art. 181, c. 2);
- il datore di lavoro deve precisa quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate (art. 181, c. 3)
- i rischi devono essere alla fonte o ridotti al minimo (art. 182, c.1);
- le misure di riduzione dei rischi devono essere adattate alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori (art. 183);
- i lavoratori esposti e i loro rappresentanti devono essere informati e formati in relazione al risultato della valutazione dei rischi (art. 184);
- per i lavoratori esposti ai rischi dev’essere svolta la sorveglianza sanitaria (art. 185).
2.4 – INTERPRETAZIONE E APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SUL MICROCLIMA NEI LUOGHI DI LAVORO
Dalla lettura dei tre titoli II, VII e VIII emerge quindi che il microclima è declinato sia come requisito ergonomico da garantire ogni qual volta è possibile (Titolo II) ma, comunque, negli ambienti di lavoro con postazioni al videoterminale (Titolo VII), sia come agente fisico (Titolo VIII) nei confronti del quale attuare le necessarie misure preventive e protettive a tutela della salute. È pertanto utile adottare nomenclature differenti per distinguere i due casi ed è molto diffuso declinare il microclima come comfort termico nel primo caso e come stress termico nel secondo.
Si deve inoltre tenere conto che, negli ambienti di lavoro dove non si svolgono attività produttive. i lavoratori non possono essere considerati esposti ad agenti fisici. In questi casi, condizioni di discomfort termico, così come eventuali disagi dovuti a rumori o a vibrazioni eccessive, devono essere eliminati o comunque ridotti al livello più basso possibile e non risulta sufficiente il rispetto delle prescrizioni del Titolo VIII (che si devono intendere implicitamente rispettate). Si noti che analogo ragionamento vale per i campi elettromagnetici, nonostante questi non siano normalmente fonte di disagio percepibile; è previsto infatti che le esposizioni non specificatamente correlate ai compiti lavorativi dell’addetto, come nel caso di un impiegato di ufficio, siano da ricondurre entro i limiti previsti per la popolazione generica.
Tornando al microclima, gli ambienti di lavoro non produttivi sono pertanto assoggettati esclusivamente alle verifiche di comfort termico.
Gli ambienti di lavoro produttivi ricadono invece sotto l’egida del Titolo VIII e le verifiche di microclima devono necessariamente spingersi oltre il comfort termico estendendosi alla valutazione dello stress termico, così da consentire di determinare se i lavoratori siano esposti a condizioni di rischio per la salute.
3 – SORVEGLIANZA SANITARIA
Come raccomandato nel documento Indicazioni operative per la prevenzione del rischio da Agenti Fisici ai sensi del Decreto Legislativo 81/08, il Medico Competente tiene conto della presenza del rischio derivante dal microclima, soprattutto per quei lavoratori che, a seguito di alcune patologie preesistenti o condizioni individuali, possano risultare particolarmente sensibili allo specifico fattore di rischio (caldo/freddo).
- intervenire nella scelta e nelle indicazioni d’uso dell’abbigliamento di lavoro e dei DPI impiegati
- fornire indicazioni in merito alla dieta alimentare, alle modalità di assunzione delle bevande e sulla loro tipologia
- contribuire all’organizzazione dei turni di lavoro e delle pause di riposo in locali a temperatura idonea
Questi interventi mirano a far ripristinare al soggetto le condizioni di neutralità termica, riducendo così il rischio di effetti avversi dovuti allo stress termico.
4 – SOGGETTI PARTICOLARMENTE SENSIBILI AL RISCHIO
Nel contesto della valutazione dell’esposizione ad un agente di rischio il datore di lavoro deve valutare in modo specifico il caso di soggetti con particolari sensibilità. Questo obbligo è richiamato in diversi punti del D.Lgs 81/08, tra cui l’articolo 183 relativo agli agenti fisici: Il datore di lavoro adatta le misure di cui all’articolo 182 [Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi] alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori.
Per condurre un accertamento indirizzato verso tali soggetti, è possibile fare riferimento alla norma UNI EN ISO 28803:2012 “Applicazione di norme internazionali alle persone con speciali necessità”.
Questa norma puntualizza che le persone con requisiti speciali spesso non rientrano nell’ambito di applicazione della maggior parte degli standard internazionali. Questi, infatti, sono applicabili solo per le persone con caratteristiche specifiche che vengono spesso definite “normali” o “tipiche”.
La stessa 7933 (metodologia PHS, stress termico da caldo) precisa che rimane compito della medicina occupazionale valutare il rischio individuale, prendendo in considerazione le caratteristiche specifiche del soggetto. Queste comprendono corporatura, peso, età, genere ed altri eventuali fattori individuali o patologie che possono rendere il soggetto particolarmente sensibile al rischio.
La norma UNI EN ISO 28803:2012, al titolo 5 “Considerazioni relative alla progettazione e valutazione dell’ambiente termico”, elenca i fattori che richiedono una specifica considerazione nell’esecuzione di una valutazione del microclima per soggetti con esigenze speciali.
Come già evidenziato, è compito del Medico Competente intercettare queste circostanze e contribuire a individuare le misure di prevenzione e protezione più adatte a tutelare questo tipo di soggetti.
5 – DEFINIRE E QUANTIFICARE IL RISCHIO DA STRESS TERMICO
Dalla lettura del D.Lgs 81/08 emerge che il legislatore non fornisce limiti per alcuna specifica grandezza termo-igrometrica, né fa riferimento a metodi di valutazione del microclima. Questo approccio differisce significativamente da quello adottato per altri agenti fisici, come il rumore o le vibrazioni, per i quali sono definiti precisi valori limite e metodi di valutazione.
Per quel che concerne i requisiti degli ambienti di lavoro, definiti al Titolo II e VII, il registro linguistico utilizzato dal normatore per il microclima è comune agli altri fattori come l’illuminazione il rumore. Ad esempio, per l’illuminazione è stabilito che i luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori (Allegato IV); per il rumore è richiesto che quello emesso dalle attrezzature presenti nel posto di lavoro non deve perturbare l’attenzione e la comunicazione verbale (Allegato XXXIV).
All’interno del Titolo VIII, invece, il microclima è incluso in un contesto dove l’esposizione agli agenti fisici è normata attraverso un sistema articolato di limiti per i quali sono previsti precisi metodi di verifica.
Tuttavia, il microclima è solo elencato tra gli agenti fisici dei quali occorre prevedere una valutazione di esposizione, ma nessun limite o metodo di valutazione è richiamato a questo scopo.
Al fine però di garantire il rispetto dei precetti forniti al Capo I di questo titolo ed elencati poco sopra, diviene necessario dotarsi di metodi specifici per la corretta definizione e quantificazione del rischio, così da consentirne il controllo e tutte le azioni conseguenti: riduzione, formazione, sorveglianza sanitaria.
Risulta pertanto necessario individuare delle procedure che consentano di:
- definire se il rischio da stress termico è presente; la mera presenza, a prescindere dall’entità, comporta infatti la necessità di attivare le prime misure di prevenzione protezione, ovvero l’informazione e la formazione dei lavoratori e la loro eventuale sorveglianza sanitaria.
- Valutare l’entità dell’esposizione al rischio da stress termico per tutti i lavoratori, compresi i soggetti particolarmente sensibili al rischio. Questo è necessario innanzitutto per accertarsi che non vi siano pericoli nell’immediato o nel breve periodo; quindi, per stabilire se vi possano essere dei pericoli sul medio e lungo periodo e studiarne le misure di riduzione, dopo aver individuato quelle di protezione per poter lavorare in sicurezza sin da subito.
Per rumore e vibrazioni la presenza del rischio è affidata alla verifica del superamento di limiti chiamati “Valori di Azione” (VA), mentre la quantificazione del rischio è evidentemente correlata all’entità di questo superamento. La tutela contro pericoli immediati è affidata invece alla verifica del rispetto di limiti denominati “Valori Limite di Esposizione” (VLE, denominazione comune a buona parte dell’igiene industriale per definire una soglia di esposizione invalicabile).
Per tutte quelle esposizioni che si trovano al di sopra dei valori di azione risulta necessario individuare delle misure di riduzione (immediate se si verifica anche il superamento dei valori limite di esposizione).
6 – I METODI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA STRESS TERMICO
Sul tema dei metodi di valutazione dello stress termico nei luoghi di lavoro esistono numerosi contributi tra gli atti dei precedenti convegni dBA. Diversi sono a cura degli scriventi (Merlino et all, 2015, 2019-1) e si rimanda a quelli per una disamina dettagliata delle metodologie di valutazione del microclima.
Per quanto riguarda lo stress termico da caldo, due sono le principali metodologie di riferimento: WBGT (Wet Bulb Globe Temperature) e PHS (Predicted Heat Strain). La prima, definito dalla norma UNI EN 7243:2017, è considerata un metodo di screening, accessibile anche a valutatori non esperti. La seconda, descritta nella norma UNI EN ISO 7933:2023, rappresenta invece un approccio più analitico e dettagliato, da applicare quando i livelli di riferimento del WBGT risultano superati e richiede l’intervento di personale esperto.
Per la valutazione dello stress termico da freddo, il riferimento principale è la norma UNI EN ISO 11079:2008, che utilizza l’isolamento termico dell’abbigliamento richiesto (IREQ) come parametro chiave per determinare e interpretare lo stress termico in condizioni di basse temperature.
7 – STRESS DA CALDO IN CONDIZIONI DI NON APPLICABILITÀ DELLE METODICHE STANDARDIZZATE
I due metodi illustrati più sopra per la valutazione di stress termico da caldo presentano alcune limitazioni. Ad esempio, sia il WBGT che il PHS assumono che l’abbigliamento indossato dai lavoratori consenta l’efficacia di tutti i meccanismi di scambio termico tra uomo e ambiente. Inoltre, il PHS ha un intervallo di applicabilità limitato ai casi in cui l’isolamento termico dell’abbigliamento non supera 1 clo, rendendo entrambi i metodi inadatti per situazioni in cui è necessario l’utilizzo di abbigliamento protettivo specifico.
Per far fronte a queste limitazioni, sono stati sviluppati approcci alternativi. Un esempio interessante è il metodo elaborato da Mark J. Buller nel 2013, che utilizza la frequenza cardiaca come indicatore indiretto della temperatura corporea interna. Questo approccio, pur non sostituendo completamente la misura diretta della temperatura corporea, offre un’indicazione operativa sufficientemente accurata della sollecitazione termica del personale nei luoghi di lavoro.
In CeSNIR lo abbiamo applicato sperimentalmente nelle estati 2018 e 2019 e dal 2020 lo abbiamo introdotto all’interno della nostra pratica di igienisti (Merlino et all, 2019-2).
In questo caso si giunge ad una valutazione riferibile solo allo specifico addetto, con l’implicazione che ne va eseguita una per ognuno dei soggetti esposti, ma con il vantaggio di ottenere un esito che tiene conto di alcune specificità del singolo.
8 – I LIMITI PER LO STRESS TERMICO
La definizione dei limiti per lo stress termico rappresenta un altro aspetto cruciale. Mentre per l’esposizione al caldo i limiti definiti dal metodo PHS per la temperatura corporea interna e la perdita di liquidi tramite sudorazione sono generalmente accettati come Valori Limite di Esposizione (VLE), la situazione è meno chiara per quanto riguarda la definizione di una soglia che indichi la presenza di un rischio, seppur minimo.
L’indice WBGT nasce proprio con l’obiettivo di individuare le condizioni di presenza del rischio, ma si tratta di un indicatore troppo grossolano (per quanto prudente) per essere adottato alla stregua di un valore di azione. Inoltre, si deve ricordare che la sua definizione risale alla metà del secolo scorso con l’obiettivo di individuare i contesti nei quali le reclute militari delle forze armate statunitensi si potevano trovare in condizioni di rischio per il troppo caldo. Non pare pertanto adatto a definire la soglia sotto la quale poter considerare trascurabile il livello di rischio.
Analogamente, per lo stress termico da freddo, i limiti definiti dalla metodica IREQ sono adottabili come VLE, ma rimane da stabilire un metodo per determinare se un lavoratore sta operando in condizioni di rischio per la salute dovute all’esposizione al freddo, pur nel rispetto di questi limiti.
In sostanza, appare intuitivo quali soglie assurgere a VLE (Valore Limite di Esposizione) sia per lo stress termico da caldo che per lo stress termico da freddo, mentre non è chiaro come stabilire se esistano o meno condizioni di rischio anche minime.
Va ricordato che la definizione di quest’ultima soglia è fondamentale per poter definire una corretta strategia di controllo del rischio, nonché per stabilire se debbano essere intraprese le basilari misure di prevenzione e protezione quali l’informazione e la formazione dei lavoratori e la loro sorveglianza sanitaria.
9 – STRESS TERMICO PRESENTE O ASSENTE?
Un contributo nella definizione del metodo da utilizzare per stabilire se per un lavoratore o una lavoratrice vi siano condizioni di rischio derivanti da stress termico che, ancorché basse, richiedano l’adozione delle prime misure di prevenzione e protezione, proviene da un’altra norma tecnica, spesso trascurata nelle pratiche di igiene industriale, ma già citata in un precedente lavoro degli autori (Merlino et all., 2019-2), ovvero la UNI EN ISO 15265:2005 intitolata Strategia di valutazione del rischio per la prevenzione dello stress o del disagio termico in condizioni di lavoro.
Questa norma prevede una classificazione del rischio che individua nove possibili categorie (cfr. tabella 7 nella norma, riportata anche qui sotto). Queste spaziano da quella in cui, a causa del freddo, si hanno tempi limite di permanenza inferiori ai 30 minuti, a quella in cui lo stesso tempo limite è dettato dall’eccessivo caldo.

Tabella 1: Classi di rischio secondo la UNI EN ISO 15265
Appare evidente che il normatore ha individuato nell’intervallo (-2, +2), definito per l’indice di comfort termico PMV (UNI EN ISO 7730), il modo di discriminare condizioni di microclimatiche che possono essere possibile causa di discomfort, da quelle che possono essere possibile causa di stress e quindi rischio per la salute.
Questo, secondo il parere degli scriventi, colma la lacuna della mancanza di valori di azione per l’agente fisico microclima e consente di individuare le situazioni espositive che si devono considerare di rischio per i lavoratori.
Ci eravamo già espressi in tale senso (Merlino et all., 2019-2) e oggi possiamo confermarlo, forti di diversi anni di applicazione di questo metodo senza riscontrarne contraddizioni o limiti.
Per completezza riportiamo qui sotto i criteri con i quali gli scriventi stabiliscono se il lavoratore o la lavoratrice presa in esame si trovano in condizioni di rischio:
- sei valori di PMV risultano inferiori a (-2) per il freddo e superiori a (+2) per il caldo;
- se svolgono compiti lavorativi in ambienti vincolati.
Si ricorda che la definizione di ambiente vincolato è la seguente: ambienti nei quali esistono vincoli, in primo luogo sulla temperatura e sulle altre quantità ambientali, ma anche sull’attività metabolica e sul vestiario, in grado di pregiudicare il raggiungimento di condizioni di comfort. (INAIL, 2018).
Il secondo criterio è strettamente necessario soprattutto per gli ambienti freddi, nei quali l’abbigliamento indossato dai lavoratori e dalle lavoratrici consente di norma di rispettare il limite inferiore di -2 per l’indice PMV; tuttavia, si tratta di un abbigliamento che dev’essere considerato alla stregua di un DPI (anche quando non lo è strettamente), perché è selezionato ad-hoc per contrastare condizioni termiche di freddo e questo che conferma che le condizioni di esposizione devono essere considerate di rischio per la salute.
10 – IL METODO DI LAVORO
Il metodo che abbiamo approntato per le nostre valutazioni del rischio da stress termico, elaborato sulla scorta di tutte le considerazioni espresse sopra, si appoggia innanzitutto sulla tabella delle classi di rischio della UNI EN ISO.
Questa classificazione utilizza l’indice PMV per valutare il comfort termico, suddividendolo in tre intervalli: comfort (-0.5, +0.5), discomfort da freddo (-2, -0.5) e discomfort da caldo (+0.5, +2)
Quando l’indice PMV rientra nell’intervallo di comfort, l’esposizione è considerata sotto controllo e non richiede ulteriori interventi. Tuttavia, quando l’indice PMV si colloca al di fuori di questo intervallo, si delineano diverse strategie di azione.
Per gli ambienti non produttivi, soggetti esclusivamente a verifica di comfort termico, si devono cercare misure di miglioramento per riportare le condizioni microclimatiche entro l’intervallo di comfort nel medio periodo.
Per gli ambienti produttivi e vincolati, soggetti anche alle verifiche di stress termico, il processo di valutazione si articola in base al valore dell’indice PMV:
- Se l’indice PMV si colloca entro l’intervallo (-2, +2), si considerano presenti condizioni di discomfort microclimatico, ma non di stress termico.
- Se l’indice PMV si colloca al di fuori dell’intervallo (-2, +2), si procede con la determinazione degli indici di stress termico appropriati (WBGT per il caldo e IREQ per il freddo). In questi casi, si calcolano anche le durate limite di esposizione (DLE) da confrontare con gli effettivi tempi di esposizione. Per lo stress termico da freddo si utilizza la procedura IREQ, mentre per lo stress termico da caldo si impiega la procedura PHS.
- Quando la durata limite di esposizione risulta inferiore alla durata nominale di un turno lavorativo, si esegue una valutazione aggiuntiva per considerare l’effetto dello stress termico in caso di esposizioni ripetute e/o combinate, al fine di valutarne l’eventuale effetto cumulativo.
È importante notare che la norma UNI EN ISO 7933 (metodologia PHS) considera gravi le esposizioni con durate limite inferiori a 30 minuti, richiedendo un riesame con metodi più sofisticati, come il monitoraggio dei parametri fisiologici.
Gli scriventi considerano presente il rischio da stress termico in qualunque ambiente vincolato o quando l’indice PMV si colloca al di fuori dell’intervallo (-2, +2) a prescindere dalla valutazione sulla Durata Limite di Esposizione (da utilizzarsi per definire l’entità del rischio). Classifichiamo queste situazioni con la dicitura aggiuntiva “thermal risk”.
In casi di stress termico molto elevato, potrebbe essere necessario passare alla fase “expertise” definita dalla norma 15265, che richiede il supporto di personale altamente specializzato e l’impiego di tecniche di misurazione sofisticate, come il monitoraggio dei parametri fisiologici.
11 – ESEMPI
Nella tabella che segue, per 12 ipotetici scenari espositivi, sono publicati gli esiti del calcolo degli indici PMV e WBGT, oltre che della DLE (Durata Limite di Esposizione) calcolata, queste ultima, mediante procedura PHS.
I primi quattro scenari mostrano esiti con valori di PMV prossimi a +2. Si osserva che il primo superamento dell’indice WBGT si verifica con un PMV di +2.08, ma solo per soggetti non acclimatati. Tuttavia, il calcolo della DLE tramite PHS indica un valore inferiore a 480 minuti (durata nominale di un turno di lavoro) sia per soggetti acclimatati che non acclimatati.
Per quanto riguarda l’indice WBGT, i primi superamenti del limite per soggetti acclimatati si registrano quando l’indice PMV supera +3. Nonostante i due indici non dipendano dallo stesso numero di variabili, ulteriori analisi suggeriscono che sia molto improbabile che questo superamento possa verificarsi prima.
Un aspetto interessante emerge nell’ottavo scenario, dove si ottiene una DLE significativamente inferiore a 480 minuti, anche con un valore dell’indice WBGT al di sotto dei limiti (un fenomeno simile, ma meno evidente, si verifica anche nel quinto scenario). È importante notare che la norma 15265 prevede il calcolo della DLE quando l’indice PMV supera +2, indipendentemente dal valore assunto dall’indice WBGT.

Tabella 2: esiti su 12 scenari espositivi ipotetici
12 – CONCLUSIONI
Riteniamo che una strada percorribile con efficacia per eseguire una valutazione del rischio da stress termico debba utilizzare sia indici di comfort che di stress termico. Tuttavia, per il primo (PMV) è necessario fare riferimento a delle soglie che, invece di limitarsi a individuare gli ambienti dove il comfort è raggiunto, consentano di definire un confine tra la regione del discomfort e quella del rischio per la salute. Nel contesto produttivo, perseguire il comfort rischia infatti di essere un obiettivo utopistico (Merlino et al, 2019-1, 2022), mentre l’attenzione va focalizzata sulla corretta definizione e quantificazione del rischio, così da poter delineare concrete e perseguibili misure di riduzione, sia per i soggetti in normali condizioni di salute che per quelli con particolari sensibilità.
La strategia che abbiamo adottato si basa sulla norma UNI EN ISO 15265:2005 che individua nell’intervallo (-2, +2) il range di valori che può assumere l’indice PMV prima che si concretizzi una situazione di rischio anche minimo.
Nelle nostre valutazioni utilizziamo pertanto questo intervallo alla stregua di un valore di azione, ovvero identifichiamo come a rischio di stress termico tutti quegli scenari espositivi nei quali il PMV assume valori esterni a questo intervallo. Identifichiamo nello stesso modo anche tutti i lavoratori che operano in ambienti vincolati che risultano esposti al rischio anche con valori di PMV interni a tale intervallo.
Come previsto dalla 15265:2005, per quantificare l’entità del rischio da stress termico da caldo, oltre a calcolare l’indice WBGT, determiniamo la DLE (Durata Limite di Esposizione) di ciascun compito tramite la metodologia PHS1 che sarà da confrontare con l’effettiva durata del compito lavorativo per stabilire se e quali misure di prevenzione e protezione intraprendere.
L’applicazione sul campo di questo metodo ci permette di raggiungere due obiettivi: il primo è quello di essere efficaci, ovvero restituire dati capaci di discriminare bene tra le situazioni non a rischio e quelle con presenza di rischio e di restituire un dettagliato spettro dell’entità del rischio, dove questo è presente.
Il secondo è quello di dotare il datore di lavoro di uno strumento concreto per la gestione del rischio in azienda e non un mero test pass/failed.
Desideriamo concludere ricordando l’importanza di gestire le esposizioni di eventuali soggetti particolarmente sensibili al rischio con una valutazione ad-hoc. In questi casi sarà l’intervento del medico competente ad essere risolutivo ma potrebbe essere di aiuto che la comunità scientifica elabori un indice che consentisse di individuare queste situazioni espositive, oppure una nuova soglia per gli indici di cui disponiamo già.
13 – BIBLIOGRAFIA
- UNI EN ISO 12894:2002 Ergonomia degli ambienti termici – Supervisione medica per persone esposte ad ambienti molto caldi o molto freddi
- UNI EN ISO 15265:2005 (Strategia di valutazione del rischio per la prevenzione dello stress o del disagio termico in condizioni di lavoro)
- UNI EN ISO 7730:2006 “Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere locale”.
- UNI EN ISO 11079:2008 Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione ed interpretazione dello stress termico da freddo con l’utilizzo dell’isolamento termico dell’abbigliamento richiesto (IREQ) e degli effetti del raffreddamento locale.
- UNI EN ISO 28803:2012 Ergonomia degli ambienti fisici – Applicazione di norme internazionali alle persone con speciali necessità
- UNI EN ISO 7243:2017 Ergonomia degli ambienti termici – Valutazione dello stress da calore utilizzando l’indice WBGT (temperatura globo del bulbo bagnato)
- UNI EN ISO 7933:2023 Ergonomia dell’ambiente termico – Determinazione analitica ed interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica prevedibile
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- Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome in collaborazione con INAIL e ISS (2021-07) Indicazioni operative per la prevenzione del rischio da Agenti Fisici ai sensi del Decreto Legislativo 81/08. Revisione 01 approvata il 21/07/2021.
- M. J Buller et al. (2013) Estimation of human core temperature from sequential heart rate observations, Physiological Measurement, 34, 781-798
- A. Merlino, G. Gambino, G. Quadrio (2015) Aspetti operativi della misurazione del microclima: dove, quando e quanto monitorare. Interpretazione e valorizzazione dei singoli parametri, relazione a invito, atti del convegno dBA 2015 (Modena, 27 maggio 2015); 71 – 90
- A. Merlino, G. Gambino, G. Quadrio (2018) Valutazione dello stress termico per lavoratori sottoposti ad alti carichi, in regime di non applicabilità delle metodiche WBGT e PHS, atti del convegno nazionale dBA 2018 (Bologna, 17 ottobre 2018)
- A. Merlino, G. Gambino, D. Meda, G. Quadrio (2019) Strategie di valutazione del microclima negli ambienti produttivi e assimilabili, atti del convegno nazionale dBA 2019 (Bologna, 17 ottobre 2019)
- A. Merlino, G. Gambino, D. Meda, G. Quadrio (2019) Accertamenti di stress termico mediante monitoraggio della frequenza cardiaca degli esposti, atti del convegno nazionale dBA 2019 (Bologna, 17 ottobre 2019)
- A. Merlino, G. Gambino (2022) Sulla definizione di salute e sulle ricadute per l’igiene occupazionale, atti del 38° Congresso Nazionale di Igiene Industriale e Ambientale AIDII (Cagliari, 22 – 24 giugno 2022)
1 Questa metodologia prevede di calcolare il tempo entro il quale la temperatura rettare o i liquidi persi per sudorazione raggiungono i rispettivi limiti. La DLE è pari al minimo dei due.
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Alessandro Merlino, Daniele Meda, Andrea Pelizzoni, Gabriele Quadrio, Diego Rizzardini (2024) Rischio da stress termico e l’utilizzo consapevole degli indici di esposizione, Convegno nazionale dBA 2024 (Bologna, 20 novembre 2024)
CeSNIR srl, Villasanta (MB)
scarica le slide della presentazione preparata per il convegno:
Alessandro Merlino (2024) Il rischio da stress termico per gli operatori sanitari impegnati in attività anti-COVID all’aperto (presentazione), convegno nazionale dBA 2024
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